Oggi facciamo due chiacchiere con Mauro Marinoni, copywriter freelance di Torino e grande tifoso del Toro, che nel novero dei suoi prestigiosi clienti si è occupato anche di “far parlare” un riso, ma non un riso qualunque, stiamo parlando del Buon Riso di Torino, brand che tra l’altro ha in essere una relazione di sponsorship con il Torino FC, o come direbbe Mauro, il Buon Riso è: “Sulla pelle e sul cuore dei granata”.

Mauro benvenuto, a questo punto prima di entrare nel vivo dell’intervista una cosa te la devo chiedere: qual è la tua ricetta preferita con il riso?

Da buon piemontese, quando ho ospiti vado sul sicuro con un risotto Carnaroli con Barolo e sugo d’arrosto. Il tocco da copy-chef è aggiungere qualche pezzetto di cioccolato extra-fondente alla fine della cottura per mantecare come si fa normalmente con il burro.

Potresti dirci in due parole cosa fa un copywriter freelance?

In due parole? Fa meraviglie. Trasforma un’azienda o un prodotto in una creatura viva, che parla.

La professione del copy è trasversale e la cura dei testi interessa entità di ogni dimensione e forma giuridica. Sei d’accordo?

Sicuro: ormai un’azienda non può permettersi di fare il sito e poi abbandonarlo a sé stesso, che si ricopra di polvere. Nella vita social di oggi un’azienda illuminata deve comunicare praticamente ogni giorno. Proprio nel trovare i concetti per raccontare ogni giorno qualcosa di interessante sta il valore del copy. Sia che parliamo di un negozio che di un’industria. 

https://www.facebook.com/TorinoFootballClub/

                                               Il copywriter alle prese con gli analytics delle pagine Facebook.

Mauro, parlaci un po’ del percorso culturale che hai fatto tu, cosa ha studiato uno che di mestiere “produce parole” ?

Ho fatto il mio percorso quando non esisteva Google Maps. Nel senso che è stato un itinerario non propriamente da A a B. Finita la terza media volevo fare il pianista e mi ero già iscritto al Conservatorio, poi nelle vacanze estive mi sono rotto malamente un dito giocando a calcio, è stato aggiustato ancora più malamente in un’ospedale di campagna e quando il mio maestro di pianoforte ha visto com’era ridotto è sbiancato e mi ha detto “Mauro, tu hai smesso di suonare”. Così oggi invece di essere alla tastiera di uno Stenway sono a quella di un Mac.

Quando ti sei accorto che eri davvero bravo con le parole?

A scuola finivo i temi in fretta e poi li scrivevo per i vicini di banco. Praticamente i miei compagni di classe sono stati i miei primi clienti.

A quali copywriter ti sei ispirato quando hai deciso di fare questa professione?

Il mio mito è sempre stato David Ogilvy. Non solo perché scriveva benissimo, con un solido approccio strategico e concettuale che rende i suoi lavori attualissimi ancora oggi. Ma anche perché era scozzese e fin da piccolo ho avuto il culto della Scozia come mia terra del cuore. Quindi: copywriter, scozzese, elegantissimo, di successo. C’era tutto il necessario per rendermi il suo più grande fan.

Quali sono i vantaggi di lavorare come freelance rispetto a essere impiegati presso un’agenzia di comunicazione?

Sicuramente la varietà di clienti. Quand’ero cucciolo di copywriter ho lavorato per alcuni anni in una piccola agenzia torinese e i due clienti principali erano le Cartiere Fedrigoni e la Centrale del Latte di Torino. Praticamente al mattino scrivevo di carta e al pomeriggio di latte. Capisci come sia più stimolante oggi che nello stesso giorno devo scrivere di cioccolato, riso, liquori, pasta, tonno?

Quali consigli ti senti di dare a un giovane che voglia tratteggiare il proprio percorso professionale di “belle parole” ?

Le “belle parole” ormai servono a poco. Per tanti fattori.

La cultura media è in calo, l’intelligenza media è in calo e non parliamo della soglia di attenzione. Quindi non ha senso concentrare le energie mentali sulla bella parolina o sulla frasetta a effetto; importa saper andare a cogliere l’essenziale, tirar fuori gli argomenti giusti da raccontare. Poi è chiaro che bisogna saper scrivere. Ai giovani direi: studiate la comunicazione classica, fatevi una bella cultura. A volte mi capita di incontrare dei giovani che sanno tutto di tutti i tool comunicativi a disposizione, però non sanno che contenuti metterci. Ecco, in questo leggere, studiare, serve proprio ad aprire gli occhi e a capire che si è fatta della grande comunicazione prima ancor che esistesse internet e che le regole base dello storytelling sono le stesse di 50, 100, 200 anni fa: avere una bella storia, raccontarla bene, coinvolgere le persone in modo che la sentano parte della loro vita, delle loro esperienze, dei loro sogni.

Mauro oltre che un copy di successo, sei anche un super tifoso del Toro, club iconico del calcio italiano e mondiale. Puoi raccontarci le tue sensazioni nel collaborare con la squadra della tua città?

Hai presente un bambino che entra in un negozio di caramelle e si sente dire “un giorno tutto questo sarà tuo”? Ecco, più o meno questa è stata la sensazione che ho vissuto collaborando con il mio amato Toro. Capisci, quando vivi il dietro le quinte della tua squadra del cuore, quando ti ritrovi a chiacchierare con Pulici e Mondonico all’inaugurazione del Filadelfia, quando vedi tua bimba presa in braccio da Joe Hart, allora capisci la fortuna che hai nel fare un così bel lavoro.

In cosa consiste il contratto di sponsorizzazione e quali sono le tue mansioni principali?

Il mio cliente Buon Riso è sponsor e fornitore ufficiale del Torino Football Club. Il mio compito è stato quello di trovare delle idee di comunicazione per valorizzare questa partnership.
Non ho voluto solo fare comunicazione celebrativa tipo “siamo fieri di essere sponsor del Torino Football Club”, ma ho voluto coinvolgere attivamente la community dei tifosi.

Così ho pensato delle iniziative per comunicare sui canali social del Torino Football Club la sponsorizzazione. Una di quelle che mi ha divertito di più è stata Gusto Granata. Abbiamo invitato i tifosi a postare foto di piatti ispirati al Toro e alla sua storia leggendaria. Il piatto più votato e quindi vincitore è stato un risotto bianco al vermouth e robiola con il tocco decorativo di una farfalla granata realizzata con crema di barbabietola. L’autore, Paolo, è stato ospite nella sede Buon Riso e ho avuto il piacere di accompagnarlo in una visita privata allo stadio Grande Torino che la società ha aperto solo per lui e sua moglie. Siamo diventati amici, questo è il bello di Facebook e adesso diventerà uno dei foodblogger di riferimento del Buon Riso.

Per cementare il legame fra i tifosi del Toro e il Buon Riso ho pensato la serie di post Il Piatto Forte, in cui si invitavano i fan della pagina Facebook Torino F.C. a indicare quale giocatore della storia del Toro ha avuto come “piatto forte” una particolare caratteristica: il colpo di testa, il dribbling, il tackle, il tiro. Dai nomi che sono emersi nei commenti è venuta fuori una Hall of Fame della leggendaria storia della squadra, un album dei ricordi per tutti i tifosi del Toro.

Poi mi sono occupato anche di aspetti prettamente tecnici, come la targettizzazione delle inserzioni Facebook per mettere in evidenza i post. E qui ho selezionato il target inserendo come parametri elementi come rice, risotto, Torino Football Club ed escludendo le persone che hanno come interessi “Juventus” per il quieto vivere della pagina Facebook.

Che tipo di apporto stai fornendo dal punto di vista della produzione di testi emozionali per una partnership tanto singolare, tra un produttore di riso che emoziona al gusto e un’azienda che invece produce emozioni sportive di altissimo livello? 

In un progetto di questo genere, i testi sono solo la punta dell’iceberg. Quello che sta sotto è la capacità di creare idee che non si limitino alle parole, ma creano iniziative, eventi, collaborazioni, engagement. Ad esempio, visto che il Buon Riso è fornitore ufficiale del Torino Football Club, ho pensato a una collaborazione con l’azienda Gerla che si occupa del catering nella tribuna dello stadio Grande Torino. Così a ogni partita casalinga, ho creato un ideale menù di patti di riso: per Torino-Milan il classico risotto alla milanese, per Torino-Genoa il risotto al pesto, per Torino-Palermo gli arancini di riso e così via. E io ero lì con il mio tablet a fare video degli chef al lavoro e a intervistarli, per creare contenuti a uso social.

 https://www.facebook.com/TorinoFootballClub/

Quali sono i 4 libri che ti hanno cambiato la vita?

I dolori del giovane Werther, letto da adolescente e me l’ha cambiata decisamente in peggio.

Il libro di testo di letteratura delle superiori, dove leggendo Dickens e Flaubert ho scoperto quanto fosse bello leggere e quanto fosse affascinante scrivere.

Il Master di Ballantrae di Stevenson, il mio romanzo preferito: ogni volta che lo leggo mi accorgo che la realtà virtuale o aumentata non è un’invenzione di oggi, ma la capacità dei grandi scrittori di portarti con loro, nella sala del castello o nel cimitero dove si sta riesumando la tomba del cattivo e ti sembra di cadere nella fossa.

Content Marketing del nostro comune amico Cristiano Carriero, che mi ha traghettato dalla comunicazione classica a quella digitale. Mi ha fatto capire che potevo prendere tutta la cultura comunicativa classica che ho imparato lavorando nelle agenzie pubblicitarie degli anni ’90 e sfruttarla per dire cose interessanti nella comunicazione digitale e social.

Il meglio dei due mondi, insomma.

Quanto è cambiato negli ultimi anni il tuo mestiere e qual è stata per te la sfida principale?

Prima si stava delle ore a cercare il claim a effetto, lo slogan memorabile, la bella parolina per farti dire “bravo” in sala riunioni. Ora tutto questo è finito, non dico per fortuna o peccato, è finito e basta.

Ora il copywriter deve essere come una specie di artista del Rinascimento: non deve solo saper scrivere, deve sapere anche intervistare le persone per tirare fuori i contenuti, deve saper fare foto, girare video e montarli, inventare eventi, creare collaborazioni. Insomma, tutto quello che una volta faceva un’agenzia di pubblicità e uno studio di produzione audio e video, concentrato in una sola persona.

Sembra il concetto One Man Band, in realtà si tratta di partire da una solida competenza comunicativa, sapere cosa interessa alle persone e saperlo raccontare avendo la curiosità di scoprire sempre nuovi modi per farlo. È il vecchio concetto del Truth Well Told della McCann che risale al 1912. E dopo più di cento anni è ancora validissimo.

Per scoprire di più su Mauro e il suo portfolio, clicca qui 

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