Oggi diamo il bevenuto a Gianluca Parenti, Chief Communication Officer di Spezia Calcio

Buongiorno Gianluca e benvenuto sulle pagine di www.alefasano.com, come ti senti oggi? 

Buongiorno Alessio e grazie per l’invito! Sicuramente l’inedita sosta invernale è un po’ strana da vivere, ma ci siamo fatti trovare pronti, anche grazie a una programmazione progettata nei mesi precedenti alla Coppa del Mondo FIFA in Qatar.

  1. Quando ci siamo sentiti per telefono la prima volta per concordare questa intervista, ci hai parlato del tuo essere “spezzino” e di come la vostra area comunicazione persegue questa mission nelle proprie attività. Di che si tratta? 

Credo che non si possa avere una linea comunicativa che vada bene per ogni club e per essere efficaci ritengo che sia fondamentale conoscere a fondo la realtà in cui si ha la fortuna di lavorare e l’ambiente in cui essa è inserita, con la sua storia e le sue tradizioni da rispettare. Giocando in casa, probabilmente riesco ad avere una visione a 360° in merito a determinati argomenti e dinamiche che in un altro ambiente dovrei creare partendo da zero, ma questo non vuol dire non sbagliare mai: gli errori fanno parte di questo mestiere e nessuno è infallibile, l’importante è comprenderli e fare di tutto per non ripeterli. 

Sicuramente lavorare per il Club che rappresenta nel mondo la mia città è un orgoglio davvero difficile da poter spiegare a parole, perché in quella maglia bianca c’è la passione smisurata di un popolo che anche nelle difficoltà ha sempre saputo rialzarsi, ci sono i sacrifici di generazioni di spezzini che hanno considerato lo stadio “Alberto Picco” come la seconda casa, ci sono le lacrime di gioia e dolore, ma soprattutto c’è un amore grande e meraviglioso come il nostro Golfo dei Poeti. Ecco perché ho sempre pensato che la frase del compianto Paolo Ponzo che da anni arricchisce le maglie dello Spezia Calcio – “Ogni calciatore che veste questa maglia deve sentirsi da una parte onorato, dall’altra fortemente responsabile per ciò che rappresenta” – non sia valida solo per i calciatori, ma per ogni persona che lavora nel Club. 

A tal proposito, la nostra mission non può che essere la diretta conseguenza di tutto ciò: essere brand ambassador del territorio, rispettare la tradizione, ma sempre strizzando l’occhio al futuro e alle nuove generazioni, tramandare i valori e far conoscere lo Spezia Calcio anche oltre i confini nazionali, cercando di trovare una linea narrativa sempre al passo con i tempi e adatta alla nostra realtà, per poter così ritagliare un piccolo e importante spazio nel mondo dei media.

  1. Puoi raccontarci in breve la tua formazione e le tue prime esperienze lavorative che ti hanno forgiato maggiormente e permesso, dunque, di entrare nel mondo del calcio dalla porta principale?

Ho sempre avuto una passione smisurata per la scrittura e per il calcio, due passioni che sono riuscito a unire anche con un pizzico di fortuna. Già negli ultimi anni delle scuole superiori ebbi la possibilità di iniziare a collaborare con la televisione locale, TLS e specialmente con una trasmissione dal titolo “Domenica Sintesi”, che si occupava del calcio dilettantistico della provincia. Dapprima iniziai a dare una mano nel reperire i risultati, creare le grafiche del televideo e per la messa in onda, poi con il passare degli anni iniziai a collaborare in occasione delle dirette televisive in varie vesti, dall’opinionista all’inviato, fino a diventare il co-conduttore della trasmissione. Fu un’esperienza decisamente formativa e il lavoro sul campo mi diede la possibilità di integrare al meglio quanto appreso nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Parma. 

All’inizio di questa risposta ti ho parlato di “fortuna” e l’ho fatto perché onestamente anche quella nella vita e nelle scelte ha un suo peso. Il 12 agosto 2008 lo Spezia, reduce da un doloroso fallimento, venne acquistato da Gabriele Volpi e sotto la direzione dell’Amministratore Unico Aldo Jacopetti, venne ammesso il 22 agosto al campionato di Serie D, con la guida tecnica di Marco Rossi, attuale CT dell’Ungheria. In città c’era grande fermento. Il fallimento era stato pesante, ma è nei momenti difficili che l’amore e la passione riescono a scacciare ogni nube. La prima trasferta a Savona fu commovente, con una carovana spezzina che riempì l’impianto del ponente ligure. Insomma c’era un entusiasmo degno di altre categorie. E io cosa c’entro? Da semplice tifoso, mi ritrovai nel giro di un paio di mesi a collaborare con l’addetto stampa Leonar Pinto, attuale Responsabile Comunicazione del Bari, il quale era arrivato in città poco dopo la nomina di Jacopetti e che voleva creare un canale tematico su Youtube, quello che poi prese il nome di Spezia Channel. Ricevetti una telefonata inaspettata da Alessandro Caporilli, all’epoca dirigente del Club, che essendo spezzino e sapendo della necessità di integrare i ranghi nell’ambito dell’ufficio stampa, pensò al sottoscritto grazie alla mia esperienza a TLS e il successivo colloquio andò molto bene, perché cercavano un ragazzo giovane che avesse voglia di imparare, di mettersi alla prova e che avesse dimestichezza non solo con la scrittura, ma anche con le videocamere e i programmi di editing video. Da lì è nata una splendida avventura che mi ha portato dai campi di periferia di Piemonte e Liguria, fino a San Siro.

  1. Le proprietà straniere in Italia sono ormai la normalità nel nostro Paese, con una maggioranza di proprietari statunitensi. Spezia Calcio è di proprietà del gruppo Platek da qualche anno ormai, ti va di raccontarci la tua esperienza in prima persona? 

Stimolante. C’è grande attenzione nei confronti di tutto quello che è comunicazione e marketing e credo che non si possa chiedere di meglio per chi fa il nostro lavoro. Inoltre la Proprietà è costituita da persone di grande umanità e disponibilità, sempre pronte ad ascoltare e a confrontarsi in maniera costruttiva per il bene del Club e anche questo è un aspetto non di poco conto, perché anche nei momenti complicati riescono a trasmetterti serenità e fiducia, consentendoti di dare sempre il massimo.

  1. Piano editoriale o Real Time Marketing? Da che parte stai?

Nel mezzo. Credo che una programmazione a lungo termine possa essere utile per tracciare una linea guida, segnando il punto di partenza e quello di arrivo, consentendo dunque di aver ben chiari gli obiettivi e i passaggi da svolgere nel tempo. Allo stesso tempo, specialmente nel calcio, bisogna inevitabilmente essere reattivi, rispondere velocemente agli stimoli esterni e cercare non solo di essere al passo con essi, ma spesso e volentieri anche un passo avanti. La rigidità non mi piace, credo che sia necessario essere flessibili e sempre proattivi, aspetto che un piano editoriale predefinito, dal mio punto di vista, non consentirebbe appieno: diciamo dunque che dentro una linea editoriale ipotetica, con obiettivi e passaggi ben chiari da seguire, è indispensabile agire con le modalità del Real Time Marketing.

  1. Cosa vuol dire, secondo la tua opinione, lavorare sui social media nell’industria del calcio professionistico oggi in Italia, in poche parole?

Avere una grande responsabilità. Oggi si comunica più con i social che tramite i comunicati stampa classici e anche le comunicazioni corporate passano inevitabilmente da Twitter e co. Inoltre le nuove generazioni vivono in simbiosi con il mondo dei social e la fidelizzazione passa anche attraverso tali piattaforme, non solo più sugli spalti. Tra i tanti aspetti che andrebbero analizzati, c’è infatti da tenere ben presente che “comunichiamo il presente per garantirci il futuro”. 

  1. Come si è evoluto in base alla tua esperienza il ruolo dell’addetto stampa oggi e quali sono le sfide cruciali che gli spettano in futuro?

Dal 2008 a oggi il ruolo è cambiato tantissimo, perché sono in primis cambiati gli strumenti con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Queste rapide innovazioni hanno fatto in modo che siano cambiate anche alcune dinamiche nei rapporti con la stampa, nella tutela dell’immagine del club e dei propri tesserati, con la privacy che ormai è spesso equiparabile a una chimera, pertanto, come già detto nell’ambito dei social, anche per il classico ruolo dell’addetto stampa una delle priorità è quella di arrivare sempre prima su tutti i flussi di informazione e fare in modo di risolvere eventuali problematiche prima che accadano. Il problemi solving credo infatti che sia una chiave di questa professione, come quella di costruire rapporti umani efficaci e duraturi, aspetti questi, che non sono cambiati molto nel tempo e che anche in futuro saranno alla base della professione. Anzi, proprio pensando al futuro, e facendo un rapido raffronto con il passato, la crescente digitalizzazione e l’uso sempre più massiccio dell’informazione “snack” da parte degli utenti e di molti addetti ai lavori, da un lato potrebbe far apparire i propri compiti più semplici, ma in realtà questo ampliamento senza limiti del flusso informativo, unito alla fruizione di informazioni poco approfondite, renderà tutto sempre più complicato da gestire.

  1. Contenuti digitali, advertising e monetizzazione, un tema risultato vitale per il sostentamento dei club durante i lunghi mesi della pandemia, a stadi vuoti. Cosa pensi al riguardo?

Nel periodo della pandemia il mondo digitale ha guadagnato ancor più importanza, perché dove c’erano distanze insormontabili, solo internet aveva nelle corde la possibilità di coprirle in maniera efficace, consentendo a tutti noi di vivere quasi normalmente, almeno in apparenza. Si sono aperte cosi tante nuove possibilità, altre hanno visto il loro ruolo rafforzato e le forme di guadagno nel mondo del calcio, ma non solo, hanno preso in maniera importante anche altre direzioni.

8. Avete in serbo delle collaborazioni con brand come strategia di content marketing per i vostri canali digitali, di cui possiamo sapere qualche anticipazione? 

Si, qualcosa in pentola bolle sempre, anche perché questo tipo di collaborazioni è sempre molto utile e aggiunge ulteriore interesse da parte degli utenti, allargando ulteriormente la propria fanbase e garantendo nuove possibilità di crescita. Per le anticipazioni….diciamo che le sorprese son sempre più gustose, quindi meglio non dire mai nulla prima…

9. Che consigli ti senti di dare a quanti stanno leggendo queste pagine e sognano di intraprendere lo stesso percorso che hai intrapreso tu e trovare finalmente lavoro, nel mondo del calcio di Serie A?

Di sporcarsi le mani. Sempre. Io credo fortemente nella gavetta e la ritengo fondamentale per creare una base da cui partire. Inoltre serve essere curiosi, aver voglia di imparare, non aver mai paura di chiedere: la strada è lunga e a volte può essere anche frustrante, perché magari i risultati del duro lavoro non si vedono nell’immediato, ma alla lunga pagano sempre. 

10. Questa la faccio a tutti: quali sono i 4 libri che ti hanno cambiato la vita?

Leggo molto, ma parlare di libri che mi hanno cambiato la vita non è facile. Sicuramente quelli che mi hanno lasciato qualcosa dentro sono “Shantaram” di Gregory David Roberts

e “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani. 

Per quanto riguarda la lettura di svago, adoro i noir come la serie dell’Alligatore di Massimo Carlotto o la Saga del Gorilla e la Saga di Dante Torre e Colomba di Sandrone Dazieri, che è sicuramente il mio autore preferito.

11. Se dovessi dare un consiglio al Gianluca di 10 anni fa, cosa gli diresti di non fare?

Non gli direi nulla e magari farei con lui un bel respiro e lo abbraccerei. Si cresce attraverso successi e insuccessi, gioie e dolori, e credo che evitando anche solo una piccola situazione del mio passato, oggi non sarei l’uomo che sono, ma sarei una persona ancora diversa. 

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